La pandemia di questi ultimi anni ha non solo aggravato, tra le tante cose, la salute mentale della popolazione, ma ha permesso anche di dare risonanza alla questione in generale del benessere psicologico. L’ISS sulla sua pagina web EpiCentro ha sottolineato come i casi di sintomi ansiosi siano stati riscontrati in numero ben più alto della soglia considerata standard, così come sono aumentate le persone che dichiarano di dormire peggio e di riscontrare sintomi depressivi. Di salute mentale sicuramente non se ne è mai parlato tanto come in quest’ultimo biennio, sottolineandone l’impatto sul benessere della persona e della società.
Nello scorso mese è circolata molto l’indignazione riguardo alla cancellazione del cosiddetto “bonus psicologo”, un presunto aiuto economico per chi avesse bisogno di consulenze specialistiche in quel campo; si è sottolineato molto come questo provvedimento fosse stato eliminato, mentre altri, di ben più dubbia utilità primaria per i cittadini, fossero invece stati confermati.
Non voglio discutere del significato simbolico della cancellazione di tale bonus, comprendo bene che si dia il segnale di non voler farsi carico di una parte fondamentale della nostra salute da parte del governo; capisco anche che un sostegno economico, seppur piccolo e a singhiozzo come potrebbe essere un bonus, avrebbe potuto dare sollievo a molte persone in difficoltà. Vorrei però concentrarmi su tre punti riguardanti l’aspetto pratico della questione, partendo da quello più generale: è raro che i disturbi mentali possano essere gestiti dopo un paio di sedute dallo psicologo, perché solitamente questi hanno cause ben radicate nel modo in cui siamo stati cresciuti, nell’ambiente in cui abbiamo vissuto, in caratteri ereditari, nei traumi, eventi tragici o difficoltà che si incontrano nel percorso di vita, in sfumature caratteriali, e così via. Essendo quindi una parte della nostra salute così complessa e ben impiantata nel profondo, generalmente, per iniziare a gestirla con consapevolezza e migliorarla, si necessita di un percorso strutturato con una o più figure professionali. Va da sé che i soldi sufficienti a fare un paio di visite, nella maggior parte dei casi, non basterebbero a ricoprire un completo percorso di cura.
Qui si arriva al secondo punto per me degno di nota: sul percorso di gestione e miglioramento della salute mentale si affacciano diverse figure professionali e non solo gli psicologi; ci sono gli psichiatri e gli psicoterapeuti ad esempio, e ognuna di queste categorie ha una formazione specifica e diversa dalle altre per operare sul benessere psicologico dei pazienti. È assolutamente probabile che chi richiede assistenza per la propria salute mentale necessiti di più di una di queste figure professionali che la affianchino nel suo percorso di salute. Personalmente non so come sarebbe stato strutturato nei dettagli questo famigerato bonus, ma mi è venuto da dedurre -non solo dal nome con cui è stato battezzato, ma dal fatto che sia un bonus, e quindi un aiuto temporaneo- che esso non potesse presentare un aiuto concreto nell’intraprendere un percorso completo e a lungo termine, magari facendosi affiancare da più professionisti. Ci sono due motivi principali che mi hanno indotto a questa possibile conclusione; il primo è ancora una questione economica: davvero il bonus sarebbe bastato a ricoprire le spese di varie sedute da più professionisti? Per quanto non abbia una controprova resto molto scettica a riguardo, se non addirittura con una visione non troppo ottimistica. Il secondo motivo è ben più complesso e articolato: come si può pensare che le persone, le quali arrivano da una cultura che ancora stigmatizza le malattie mentali, associandole al concetto vuoto di “pazzia”, vergognandosene e ostracizzando le persone che ne soffrono, arrivino da sole alla conclusione che se vogliono vedere miglioramenti sulla loro condizione psicologica hanno bisogno di farsi seguire in percorsi a lungo termine, magari da più persone, magari coadiuvati dai tanto temuti e demonizzati psicofarmaci? Come in ogni questione complessa che coinvolge un cambio di paradigma e visione sociale di una tematica, il cambiamento di rotta non può arrivare da un giorno all’altro e non sarà mai davvero incentivato da due soldi in più nel portafoglio. Il bonus in questione avrebbe incentivato l’idea che una visitina una tantum avrebbe aiutato le persone, togliendo dal discorso la ben più probabile possibilità che invece si necessiti di qualcosa che va al di là di un paio di colloqui, ed eliminando la complessità del generale discorso che la salute mentale necessariamente possiede.
Arriviamo ora al terzo punto, collegato sicuramente a doppio filo col secondo: proprio perché il paziente che ha bisogno di sostegno per la propria salute mentale molte volte necessita di più professionisti contemporaneamente, la condizione migliore in cui questo si può svolgere è quella dove questi professionisti possono cooperare e collaborare in un team, conoscere tutti la condizione del paziente e trovare insieme le strategie migliori. Questa collaborazione è possibile e anzi incentivata nelle sedi pubbliche, come i centri di salute mentale sul territorio, grazie alla loro struttura organizzativa. Lungi da me il voler dare un giudizio generale sulla sanità pubblica e privata, ma considerando il caso specifico della salute mentale è davvero evidente che un metodo collaborativo tra professionisti di uno stesso paziente sia il vincente e che questo in studi o strutture private sia molto più difficile da avere. Per esempio, se ci si reca da uno psicologo privato, difficilmente questi avrà la possibilità di avere nel suo studio collaboratori psichiatrici, e pertanto sarà il paziente a doversi prendere carico dell’impegno di informare l’eventuale psichiatra dell’andamento del percorso psicologico. Nelle ASL questo viene invece fatto automaticamente dal team di lavoro. Ecco che allora si può sottolineare come la tattica di fornire un po’ di denaro ai cittadini incentivi inevitabilmente la scelta della persona verso un paio di visite private, piuttosto che un serio percorso in una struttura pubblica, la quale sicuramente non ha i fondi per garantire a tutti un servizio celere ed efficiente, come purtroppo tutti ben sappiamo. Oltre quindi allo straniamento di vedere uno stato disincentivare i suoi servizi pubblici non fornendo loro fondi e orientando in modo indiretto a usufruire delle strutture private, vi è il fatto che nello specifico caso della salute mentale l’organizzazione lavorativa delle ASL sarebbe davvero ottimale per il supporto ai pazienti; a prescindere dalla bravura dei singoli specialisti, la cooperazione sarebbe un servizio aggiuntivo positivo e necessario.
Per concludere, personalmente non rimpiango il fallimento del “bonus psicologo”, invece mi dispiaccio per la cecità a lungo termine dimostrata dalla mancata volontà di fare interventi atti a sostenere il sistema sanitario in questo campo, e a informare le persone sulle varie tematiche riguardanti la salute mentale e le conseguenti possibilità di cura. Mi piacerebbe vedere le persone richiedere assistenza a basso prezzo garantita dallo stato, quella che teoricamente paghiamo con le tasse, piuttosto che constatare una passeggera indignazione per la mancata erogazione di qualche esiguo fondo per poi essere lasciati alla mercè di una sanità non in grado di accogliere i pazienti e di una informazione sulla salute davvero manchevole.