Alle ore 20 del 24 aprile 2022 escono i primi risultati: Emmanuel Macron è stato rieletto. Fino a quel momento niente era scontato. Questa frase fa male: nel 2022, in Francia, ad un’elezione presidenziale, l’estrema destra poteva vincere. Sì, la possibilità c’era, mai come questa volta. Cosa avverrà la prossima volta? Inutile e impossibile anticipare, certo, ma il campanello d’allarme deve rimanere vivo e presentissimo.
“Macron stravince” si è sentito dire da questa parte delle Alpi. No. Mi dispiace, ma no. Questa reazione mi ha spinta a scrivere, a reagire. Come si può dichiarare una tale cosa? Vincere con il 58% dei voti contro l’estrema destra, in Francia, nel 2022, non è stravincere. È salvaguardare, ancora per qualche anno, la Repubblica, le istituzioni, la Costituzione. Non è una bella vittoria, non c’è nulla di cui vantarsi. Bisogna aprire gli occhi, vedere, leggere e comprendere questo risultato: il 42% degli elettori ha scelto di dare il proprio voto a Marine Le Pen. Innanzitutto, ciò non significa che tale percentuale sia composta da sostenitori accaniti e convinti del Rassemblement National e neppure delle sue teorie e idee nauseabonde. Perché così sono: populismo eccessivo, basato su pregiudizi facili e alquanto visti e rivisti, dal razzismo basilare, con le sue varianti antisemitiche e omofobiche, ad un nazionalismo che mira all’isolazionismo e al protezionismo. Puntare il dito sull’altro, sull’esterno per indicare una minaccia fantasticata è sempre stato talmente facile… strumento numero uno dell’ABC del piccolo autocrate. Ben più semplice di guardarsi allo specchio, affrontare i propri problemi e cercare di risolverli o almeno di viverli tutti insieme, e non dividendoci. Ma questa è un’altra storia, o forse lo sarà. Il 42% degli elettori ha espresso pochi giorni fa, attraverso lo strumento fondamentale del diritto di voto, una lassitudine morale profonda, una disillusione arrabbiata, una frustrazione tangibile. E deve essere ascoltata. Un messaggio gravissimo e pesantissimo è stato inviato, al Presidente rieletto, ai ministri, al Parlamento, alla classe politica in generale: non si tratta più di accontentare il popolo, concedendogli qua e là un’agevolazione, un favore. La politica deve tornare a contatto dei cittadini e riprendere la comunicazione. Per evitare il peggio. Che cosa ci vuole di più per farlo intendere? È la terza volta in vent’anni. Che cosa ne è uscito? Ben poco, per non dire niente. Cerchiamo di mantenere un barlume di lucido ottimismo, d’altronde l’essere umano è anche questo. Nel 2002, quando contro Jacques Chirac uscì il nome di Le Pen versione padre, fu uno choc immenso, uno schiaffo violento: immediata la reazione, l’unione, la solidarietà, per impedire l’impensabile, come per affermare “mai più”. Funzionò. Le Pen ottenne pressoché lo stesso risultato del primo turno. E poi? Concretamente cosa cambiò? Basta arrivare al 2017 per accorgersene: arieccoci! Dopo una sembianza di ritorno ad una “normale” e solita politica, Le Pen è più presente che mai. Non si è preso sul serio il suo risultato del 2012 né il messaggio che mandavano i suoi elettori… La fuga in avanti, troppo spesso la soluzione migliore e preferita, pericolosa spada di Damocle. Di nuovo nel 2017 si andò a votare nuovamente “contro” e non solo “per”. Il blocco politico non era neanche più coeso tanto quanto lo era stato per Chirac. Il 2017 fu però particolare e merita di soffermarcisi un attimo: l’”apparizione” di un nuovo candidato, del suo partito, delle sue idee apparentemente nuove sulla politica. E dopo la distruzione del Partito Socialista, esito della presidenza di François Hollande, Emmanuel Macron parve rappresentare una scelta valida, una possibilità equilibrata dinanzi alla destra tradizionale, non solo per gli ex-elettori socialisti più moderati, ma anche per quelli (numerosi) che desideravano finalmente un rinnovo dello schema politico presente ormai da decenni. Tale volontà di cambiamento fu il messaggio mandato dalla maggior parte degli elettori poiché nessuno dei tradizionali partiti politici ebbe accesso al secondo turno, ma Le Pen, sì. Macron vinse facile, ma già allora non stravinse. Quasi il 34% fu per la Le Pen. Piano piano, tranquilla tranquilla, si installava sulla scena politica, diffondendo le sue idee decisamente discutibili con sempre più normalità, “banalizzandole”, attraverso dei media spesso (troppo) concilianti. Ancora una volta però in pochi cercarono di prendere sul serio questa sua ascesa, benché Emmanuel Macron, una volta eletto, avesse esposto, come uno dei suoi obiettivi, di indebolire fortemente il Rassemblement National. Monsieur le Président, Lei ha palesemente fallito. Non sono qui per analizzare le cause di questo insuccesso, altri lo faranno meglio di me. Ad oggi un’ampia fetta della popolazione francese prova una profonda diffidenza nei confronti, magari non della politica in generale, ma molto probabilmente dell’appena rieletto Presidente. Tra gli elettori di Marine Le Pen, le schede nulle o bianche, quelle non per Macron ma contro Le Pen… senza dimenticare gli astensionisti: bisogna risalire al 1969 per ritrovare una tale astensione al secondo turno di un’elezione presidenziale! Quando quasi il 28% dei votanti non si esprime, anche qui c’è un messaggio forte. Perché sono disillusi, perché non ci credono più, perché si rifiutano di dare il proprio voto ad un candidato che per cinque anni è stato sordo e avvertito altezzoso e (di)sprezzante, sarebbe una violenza che persino il rischio ormai ripetuto della salita di Le Pen non riesce (più) a compensare. Che facciano i conti precisi gli statistici: rimane una vittoria amara, triste, rassegnata, turbata, irrequieta. Il prossimo e imminente traguardo saranno le elezioni legislative di giugno, fondamentali per la costituzione di un nuovo governo: un’altra opportunità per i cittadini di esprimersi. E di essere ascoltati. È ora. Prendetene atto.
Spesso dall’estero si richiamano le Lumières come abbinamento alla Francia, alla sua politica, alla sua popolazione. Forse è giunto il momento di ritornare alle fondamenta illuministe per tutti i Francesi, senza distinzione di origine, di razza né di religione.