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Perché chi ha un utero ha il diritto di abortire

06-10-2021 17:25

Alice Depetro

Blog di Alice Depetro,

Perché chi ha un utero ha il diritto di abortire

Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un ritorno di opinioni controverse sull’aborto: alcune regioni hanno vietato il day-hospital per la pratica far

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Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un ritorno di opinioni controverse sull’aborto: alcune regioni hanno vietato il day-hospital per la pratica farmacologica, altre hanno intensificato le associazioni Pro-vita nei consultori e negli ospedali.

 

La questione principale che rende l’aborto un tema così delicato e dibattuto è legata all’embrione: esso è o non è un essere umano o da considerarsi come tale? Ha o non ha una levatura morale che gli permette di avere dei diritti fondamentali? Partiamo ad analizzare cosa dice la scienza a riguardo: per le prime due settimane, l’embrione è composto da cellule che si possono staccare le une dalle altre, o unire in diverso modo; è il periodo in cui dalle sue cellule si possono formare gemelli. Avendo questa capacità, diciamo, di disgregarsi e aggregarsi, di dare vita a più individui o ad uno solo, non si può chiaramente affermare che esso sia un individuo, ovvero un essere unitario e indivisibile, che è poi la prima caratteristica che leghiamo agli esseri senzienti.

 

Basta questo però a dimostrare che un embrione non è una persona e che quindi si può disporre di lui come si vuole? Decisamente no. Noi sappiamo che da due gameti umani verrà fuori un embrione umano: ciò significa che il risultato è un essere umano. È quindi una persona? Beh, qui la situazione si fa complessa e sfaccettata: l’embrione è un essere umano biologicamente parlando, e questo è un fatto, ma moralmente non ha alcuna caratteristica che lo faccia definire tale. Andando più a fondo possiamo dire che l’embrione, fino circa alla 16esima-20esima settimana di gestazione, non presenta attività elettrica nella corteccia cerebrale; solo appunto dal secondo trimestre comincia ad avere quella più primitiva, e dal terzo trimestre quella più complessa. Esso non presenta, dunque, capacità di provare dolore, piacere, varietà di emozioni, capacità anche minima di pensiero e di pianificazione, prima di questo periodo. Solo dopo la 32esima settimana il feto è in grado di sopravvivere al parto prematuro. La maggior parte degli studi concorda nel dire che il feto sente dolore a partire dal settimo mese di gestazione, ma applichiamo il prudenzialismo, e teniamo conto dei primissimi segnali elettrici che ci sono a partire dal secondo trimestre come primo segnale minimo di senzienza.

 

Spostiamoci ora per un attimo su cosa sono i diritti: potremmo dire che sono quelle convenzioni sociali che gli esseri umani hanno stipulato per potersi vicendevolmente proteggere dai soprusi, dalle ingiustizie, e così via. Ma perché dobbiamo proteggerci da queste cose e perché per noi sono negative? Perché abbiamo la capacità di subirle, di sentire il dolore, di provare emozioni, di vedere i nostri sogni e i nostri progetti infranti. Avendo l’abilità di percepire piacere e dolore, di avere cognitivamente la capacità di elaborare piani di vita, di vivere in maniera comunitaria, allora vien da sé che dobbiamo difenderci e preservare i nostri tratti identitari, la nostra vita, la nostra emotività e il nostro corpo da tutto ciò che può attaccarci, da chi vuole e può farci del male, se non vogliamo soffrire.

 

Si può quindi applicare il concetto di diritto ad un essere umano non in grado di avere la minima percezione fisica e psicologica, non capace di avere coscienza di sé, di cosa lo circonda, senza la più bassa capacità razionale e non completamente formato? Ognuno qui avrà la propria opinione, giustamente. A livello personale mi sono sempre identificata nel pensiero di questo filosofo americano, Peter Singer, che sostiene una tesi gradualista: più un essere è complesso e presenta tratti di senzienza, più allora avrà diritto ad essere tutelato; per riassumere: più soffri, più sei da proteggere e quindi più avrai diritto ad avere diritti. Per questo credo che fino al secondo trimestre di gravidanza non ci sia alcun dilemma etico nell’aborto riguardo all’embrione. C’è semmai riguardo a chi porta quell’embrione nel proprio grembo: quella è una persona sia a livello biologico sia a livello morale, soffre, prova piacere, emozioni, ha capacità di pensiero. Negandole il diritto all’aborto le si nega il diritto a non soffrire e a poter decidere della propria vita e del proprio corpo. Successivamente, dopo le 20 settimane, è comprensibile che si possa essere progressivamente più restii nel prendere questa delicata decisione. In tutto il periodo della gestazione in cui per legge è consentito l’aborto, però, è indubbio che chi ha tutte le caratteristiche morali della persona non è tanto l’embrione, quanto invece chi lo gesta. Pertanto, anche se l’embrione acquisisce progressivamente valore morale, la decisione di chi è in gravidanza è da preservare più dell’esistenza dell’embrione stesso, perché è quella la persona che soffre maggiormente, tra le due.

 

Mi rendo conto che sia un tema particolarmente spinoso e complesso, che può ferire a causa dei vissuti personali di ciascuno di noi. Se però ci soffermiamo sul fatto che il danno che possiamo infliggere all’embrione è dapprima nullo e poi piccolo, e quello invece inflitto a chi vuole abortire negandogli l’aborto è di sicuro più sfaccettato, profondo e doloroso in senso lato, potrebbe essere una buona regola non obbligare le persone incinte a scelte che non sentono proprie e che invece percepiscono come lesive, come la costrizione a continuare la gravidanza, e capire che, nonostante per noi sia negativo, oggettivamente un aborto voluto produce meno dolore di una gravidanza indesiderata. Lasciamo allora a queste persone la libertà di scelta su come amministrare la propria vita e il proprio corpo, considerando che in ogni caso un embrione soffre meno di quello che può soffrire la persona gestante.

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